Saldatura storia: donne e saldatura
Quell’armata che ci ha protetto dalla guerra

La storia della saldatura
Donne e saldatura, non solo una storia di emancipazione, ma una svolta di professionalità al mondo della saldatura
Quando si fa riferimento a una donna che salda, il pensiero condizionato dall’immaginario collettivo ci conduce al film Flashdance dove l’aspirante ballerina che non riesce a sfondare, per mantenersi fa il saldatore. È un film statunitense degli anni ’80, ma noi andremo ben più indietro nel tempo per scoprire che “donne e saldatura” sono tutt’altro che un’antitesi.
Quella che è tutt’oggi una professione ad appannaggio del mondo maschile, divenne un fenomeno di massa durante la prima guerra mondiale. Nel 1914 non c’era ancora nessun fervore femminista che incitasse le donne a impugnare il cannello. Divenne un’emancipazione lavorativa: gli uomini erano al fronte in tutte le nazioni coinvolte nel conflitto, così molte donne delle classi popolari si sostituirono ai loro mariti e figli in tutti quei settori necessari alle sopraggiunte esigenze belliche, compreso quello meccanico e metallurgico.
In Italia, Francia, Inghilterra, Austria, Germania, grazie agli investimenti statali militari, i segmenti industriali di maggior richiamo per le donne che saldavano, tagliavano i metalli erano quelli di armi e munizioni e dei mezzi di trasporto terrestri e navali. Pensiamo all’Ansaldo, Fiat, Breda, Riva, Beretta e i grandi cantieri navali di Livorno e Taranto.
Era la saldatura ossiacetilenica che veniva utilizzata per rifinire le bombe e i siluri e che costituiva un pericolo per la salute e la sicurezza della forza lavoro. In Inghilterra le lavoratrici di questo settore vennero chiamate “munitionettes” e poi tristemente ricordate come le “canary girls” cioè ragazze canarino, perché la loro pelle esposta ripetutamente al TNT, trasformava il colore della pelle in un giallo-arancio che ricordava il piumaggio dei volatili domestici.
Nel 1916 venne istituita un’associazione, la Società delle donne saldatore, nata per migliorare le condizioni economiche e lavorative delle donne saldatore che venivano pagate il 40% in meno rispetto ai maschi per lo stesso tipo di lavoro. Molte di loro erano suffragette già abituate alle campagne politiche.
L’invasione dell’esercito femminile non belligerante nel mondo della saldatura, si placò dopo la fine del primo conflitto mondiale, per poi ritornare nelle fabbriche con lo scoppio della seconda guerra mondiale. Così le industrie tornarono a riempirsi di donne che saldavano, tagliavano con l’acetilene e sperimentavano con molto successo la saldatura ad arco.
Il ventennio che separò le due guerre fu caratterizzato dalla corsa accelerata all’industrializzazione civile e militare nella maggior parte dei paesi industriali con o senza regimi totalitari al potere. “Questa non è una pace, ma un armistizio per vent’anni”, disse il generale francese Ferdinand Foch.
In Italia in questo periodo ci furono le grandi espansioni coloniali in Etiopia e Corno d’Africa e tutto ciò che ne conseguì, anche se poi i prodotti dell’industria bellica andarono perduti. Durante il ventennio i procedimenti di saldatura cambiarono. Grazie ai generatori elettrici si diffuse la saldatura ad arco (utilizzata già da tempo sia in Inghilterra che negli Stati Uniti), quella a elettrodo non protetto inizialmente e poi a elettrodo rivestito. La prima nave interamente saldata venne costruita nel 1933. Era finita l’era delle lamiere chiodate.
Con l’avvento della Seconda guerra mondiale che impose ritmi elevati produttivi, prese piede la saldatura a filo continuo e la saldatura ad arco sommerso per le saldature di grossi spessori. In questo periodo vennero introdotti gli impianti automatici per il taglio ossiacetilenico dei metalli. L’esercito imponente delle donne impiegate nella produzione bellica, tornò a riempire le fabbriche. Migliaia di donne di tutto il mondo dimostrarono forza, coraggio, bravura. Oscar Wilde scrisse: “date alle donne occasioni adeguate e saranno capaci di tutto”. E così fu. In Gran Bretagna si diceva che due donne fanno il lavoro di tre uomini. Erano chiamate wonder woman (da cui poi nel 1941 il vignettista Moulton creò l’eroina che conosciamo tutti). Per la costruzione del ponte di Waterloo (4 anni di lavoro) furono impiegate 350 donne saldatori. Come ringraziamento il vice primo ministro Herbert Morrison dichiarò: «tutti gli uomini che hanno costruito il ponte di Waterloo sono uomini fortunati».
Passeranno 70 anni prima che un’erede dell’impresa ingaggiata per la costruzione del ponte, raccontasse con la testimonianza di un ampio archivio fotografico, la verità per ufficializzare il giusto riconoscimento.
Le donne saldatore non si improvvisavano; seguivano corsi, imparavano a saldare seguite da istruttori. Non era facile entrare nelle scuole ufficiali di saldatura (negli USA la saldatura ha sempre avuto grande notorietà) e per chi ci riusciva, prima di essere assunta una donna saldatore si doveva sottoporre ad almeno a un anno di prova.
LA TESTIMONIANZA
Ho letto che le qualifiche di un saldatore sono: idoneità fisica che assicura un ragionevole grado di resistenza durante un’intera giornata di lavoro; nervi saldi e notevole forza muscolare. Ma per un saldatore di un cantiere navale le modificherei così. Un grado di resistenza irragionevole durante un’intera giornata di tensione, più forza muscolare e niente nervi. Se non hai la forza muscolare prima di iniziare a saldare l’avrai dopo. Se non hai i nervi prima, potresti averli a fine giornata, anche se ne dubito. Entro domani sarò “ragionevolmente” calma, ma stasera dopo una giornata di lavoro, francamente non lo so. (Augusta Clawson 1944).
Bibliografia: da Terra e storia “Un esercito di riserva di soldati senza armi”, di Giuliana Crocco e Fabio Targa