DONNE E SALDATURA. STORIE DI VITE SENZA STEREOTIPI O SOVRASTRUTTURE
Sfatiamo il mito che saldare sia un lavoro prettamente maschile. La storia ce lo ricorda, l’attualità ce lo fa presente anche se le donne saldatore non amano il rumor. Non che sia una professione facile. Il mondo intorno alla saldatura è quasi tutto maschile, ma oggi, il ruolo di ingegnere ai vertici delle aziende, è sempre più ‘donna’. Per questo è arrivato il momento di rompere il silenzio. STS sta predisponendo dei corsi base e avanzati ‘speciali’ per le signore interessate.
Le donne sanno saldare? Una donna può fare il saldatore? Sì. In silenzio, da sempre, le donne hanno lavorato in tutti i settori, anche in quelli tipicamente riservati al solo pubblico maschile. Uno di questi è proprio la saldatura.
Già con l’avvento dell’industrializzazione, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, e poi con lo scoppio della Grande Guerra, le donne contribuirono in Europa e oltre oceano, allo sforzo della crescita industriale, impegnandosi non solo nel settore tessile, ma anche nei comparti della metalmeccanica e della metallurgica. Le donne poi, sostituirono gli uomini al fronte nei campi e nella produzione delle componenti per l’industria bellica, diventando così anche saldatori. Si conta che solo in Italia, un terzo della popolazione femminile fosse impiegata (1915), nella metallurgia.
Se poi facciamo un salto ‘atlantico’, le welding women divennero un’icona statunitense del secondo conflitto mondiale, le donne operaie impegnate in fabbrica a lavorare per sostituire i propri uomini arruolati come soldati in guerra. Nacque così il mito di Rosie the riveter, la donna operaio simbolo dello sforzo bellico al femminile. Si tratta di Rosie, una giovane ragazza che per amor di patria decide di ricoprire il ruolo del fidanzato Charlie, partito al fronte come Marines. Una storia che divenne il simbolo, anche musicale, dell’impegno femminile nell’industria.
In tempi di pace, quando si pensa a una donna saldatore cosa viene in mente? Senza dubbio, Jennifer Beal in Flashdance. La giovanissima Alex che, nella pellicola del 1983, insegue il proprio sogno di ballerina di notte, lavorando di giorno per mantenersi. Ma che lavoro sceglie di fare? Non la cameriera, non la cassiera, non la commessa… ma proprio la saldatrice. Il bellissimo connubio tra il ballo e le saldature, ha portato questa professione a un balzo in avanti notevole proprio a partire dal 1980; il film ha messo in evidenza quanto una donna – sensuale ed energica ballerina – possa svolgere un lavoro “da maschio” senza sentirsi diversa o inopportuna. Il personaggio di Jennifer Beal lanciò la moda della saldatura – oltre a quella per gli scaldamuscoli – e la consapevolezza che una donna poteva essere un saldatore a tutti gli effetti.
Da allora le donne non sono più saldatori occasionali, come durante i conflitti mondiali, ma operaie specializzate che non temono né il confronto con i colleghi, né il giudizio del preconcetto culturale che relega ai soli uomini il ruolo del saldatore.
Gli esempi di questo sono tanti: Erica Zaccheroni, 43 anni, saldatrice a Fiumana di Predappio innamorata del suo lavoro anche grazie proprio all’iconica Alex Owens; c’è Patrizia Grassi, vincitrice del Campionato Italiano di Saldatura nel 2013.
È russa, invece, la vincitrice del WorldSkills – concorso di saldatura internazionale; a soli 19 anni, Diana Bagautdinova, conquista il premio e dichiara apertamente di amare il suo lavoro spronando le donne a impegnarsi in questa professione. Sempre dalla Russia giunge la bravura di Alexandra Ivleva, classe 1985, che, figlia di saldatore, trasforma la saldatura industriale in arte. Le sue sculture di metallo hanno trasformato un processo industriale in qualcosa di emozionale e incredibile. Dal suo genio nascono borse, portaoggetti, lampade e sculture tutte interamente in metallo saldato.
Perché rifuggire da questo lavoro? Perché considerarlo solo maschile? Oggi non serve più.